di Pierre Lemieux
Articolo
originale scritto nel 1999. Traduzione dall'inglese pubblicata nel
Novembre 2000. Traduzione di Elvira Bianco.
Osservando le politiche adottate dal partito
Nazionalsocialista, che governò la Germania dal 1933 al 1945, dal
punto di vista di un osservatore del ventesimo secolo, esse appaiono
sorprendentemente moderne. Robert N. Proctor, nel suo ultimo lavoro
"La guerra di Hitler al cancro", (The Nazi War on Cancer,
pubblicato nella sua versione originale inglese dalla Princeton
University Press nel 1999, ed ora pubblicato in Italia), provvede
un'ampia documentazione sulla guerra nazista contro il cancro, sulle
misure adottate dal regime e sulle campagne intraprese dai nazisti
in nome della pubblica sanità. Il professor Proctor, storico della
scienza all'Università della Pennsilvania, ha dedicato molte delle
sue ricerche alle interrelazioni tra medicina e sanità pubblica e
politica, analizzando soprattutto la politica
nazionalsocialista.
I nazisti erano conosciuti e
ammirati per aver adottato le misure più progressiste, per i loro
tempi, in materia di sanità pubblica. Essi applicarono le norme e le
ricerche più avanzate per curare le malattie relative all'ambiente,
quelle professionali, e quelle derivanti dallo stile di vita. Il
cancro fu dichiarato "Il primo nemico dello stato." La politica
nazista favoriva i cibi naturali e si opponeva ai grassi, agli
zuccheri, all'alcol e alla vita sedentaria. Il preesistente
movimento moderato contro l'uso di alcol e tabacco divenne più
attivo sotto i nazisti, che s'impegnarono nel creare ciò che il
prof. Proctor definisce "una sicura utopia sanitaria"
I capitoli più lunghi del libro
del prof. Proctor sono dedicati al tabacco, "un argomento
giustificato", spiega l'autore, "dal sorprendente fatto - prima
d'ora inosservato - che la Germania nazista aveva la più aggressiva
campagna contro il fumo e la più sofisticata epidemiologia
antitabacco del mondo". È risaputo che lo stesso Hitler era un
fanatico antifumatore, ma il movimento antifumo e le politiche
d'intervento pubblico dell'era nazista andarono ben oltre i capricci
di Hitler.
Il tabacco fu attaccato poiché
"reliquia di uno stile di vita liberale" e fu definito una
"masturbazione polmonare". Nella Germania nazista alcuni ricercatori
di medicina, con forti connessioni al nazismo, furono i primi a
stabilire una relazione statistica tra il fumo e il tumore ai
polmoni. Mezzo secolo prima che l'Environmental Protection Agency
facesse uso di scienza rottame contro "il fumo ambientale del
tabacco", l'attivista anti-tabacco Dr. Fritz Lickint coniò il
termine "fumo passivo" (egli sosteneva, tra l'altro, che anche il
caffè fosse cancerogeno!).
I nazisti istituirono severi
controlli anti-fumo, incluse restrizioni sulla pubblicità e divieti
in molti luoghi di lavoro, negli uffici governativi, negli ospedali
e in seguito anche su tutti i treni ed autobus nelle città. In
alcune località divenne illegale per le donne acquistare sigarette.
"La donna tedesca non fuma", proclamava uno slogan
nazista.
Nel 1941, fu creato l'Istituto per
la Ricerca sui Rischi del Tabacco, sotto la direzione di Karl Astel,
un fervente nazista che si tolse la vita nell'Aprile del 1945. Astel
sosteneva che l'opposizione al tabacco era "un dovere del socialismo
nazionale." Come rettore dell'Università di Jena, proibì il fumo in
tutti gli edifici dell'università. Il suo istituto produsse la più
aggressiva documentazione scientifica sul rapporto tra fumo e
cancro.
Proctor è perplesso e angustiato
dal fatto che "Le iniziative per la Sanità pubblica erano portate
avanti non solo nonostante il fascismo ma anche in conseguenza del
fascismo", come egli mette in risalto. Il suo libro è però debole
nell'analisi di questo tema. Nel capitolo conclusivo, dove egli
cerca di focalizzare questo punto, ci si limita infatti ad affermare
che il fascismo tedesco era un complesso miscuglio di bene e di
male. Fortunatamente, l'ampia documentazione fornita dall'autore ci
permette di avanzare ulteriormente quest'analisi.
Il fascismo si basa sulla
sottomissione dell'individuo alla comunità. Come scrisse Benito
Mussolini a proposito del ventesimo secolo: "Se il XIX secolo è
stato il secolo dell'individualismo, c'è da aspettarsi che questo
sia il secolo del collettivismo, quindi il secolo dello Stato". Il
marchio tedesco del fascismo, il Nazionalsocialismo, era
caratterizzato anche da convinzioni razziste (in contrasto col
nazionalismo puro). D'altra parte, in Occidente la dottrina della
sanità pubblica si ora è spostata dalla focalizzazione su sanità e
malattie contagiose ad un attacco frontale sulle scelte
dell'individuo e su uno stile di vita considerato politicamente
scorretto.
La relazione tra fascismo e sanità
pubblica è probabilmente molto più simbiotica di quanto ammette il
prof. Proctor. Dopo aver letto "La guerra di Hitler al cancro", il
lettore attento si troverà nella posizione ideale per capire perché
il fascismo richieda un'efficace politica di intervento della sanità
pubblica. Lo stato fascista ha bisogno di "prezioso materiale umano"
- o, come diremmo oggi, di sane "risorse umane". Gli slogan nazisti
erano più espliciti di quelli usati dai nostri crociati odierni: "Il
tuo corpo appartiene alla nazione!" "É tuo dovere essere sano!", "Il
cibo non è una questione privata!" L'Economato Nazionale Nazista
anticipò gli odierni fascisti della salute delineando anche i
cosiddetti "costi sociali" del fumo.
Il miscuglio di salute pubblica
diventa più efficace se si aggiunge un ingrediente razzista. La
campagna per la sanità pubblica contribuì non solo a preservare una
popolazione di coscritti e di contribuenti, ma anche "Il puro sangue
tedesco." Quest'additivo non era veramente necessario, sarebbe
bastato anche solo il collettivismo. Ma come ci fa notare Proctor,
"I medici della Germania del fuhrer erano più interessati al '
vigore della razza ', la cosiddetta comunità del popolo, che alla
salute degli individui".
Il professor Proctor prende le
distanze dai libertari, che vedrebbero la mano invisibile del
fascismo nell'odierna repressione del fumo: "Non è mia intenzione",
egli scrive, "dimostrare che gli odierni sforzi anti-fumo abbiamo
radici fasciste, né che le misure per la sanità pubblica siano per
principio totalitarie - come vorrebbero farci credere alcuni
libertari." Tuttavia, bisogna chiedersi se esistono connessioni
istituzionali che leghino più strettamente la sanità pubblica al
fascismo. Oltre al bisogno dei fascisti di avere soggetti sani, io
ritengo che ci siano altre connessioni che aiutino a dare
significato all'inquietante testimonianza contribuita da
Proctor.
Sia le politiche fasciste, sia la
moderna ideologia salutista, richiedono uno stato molto forte.
Proctor ci ricorda che le preoccupazioni per la salute pubblica
erano ben note nel periodo della repubblica di Weimar, e il primo
ente anti-tumore finanziato dallo stato fu fondato in Germania 33
anni prima che i nazisti arrivassero al potere. "La novità del
periodo nazista fu l'incremento dei poteri dati alle forze della
polizia, ed alla legislatura, per mettere in pratica ampie misure
preventive". I poteri concessi alla polizia dal fascismo permisero
infatti all'ideologia della sanità pubblica di rivelare la sua vera
natura.
L'apparato statale Nazista aveva
un "Fuhrer per la sanità del Reich", che istituì uffici centrali per
schedare i dati relativi a molte malattie e tossicomanie. La
Germania nazista era una società trasparente, dove agli individui
non era concesso nascondere la propria vita allo stato. Migliaia di
alcolizzati "schedati" caddero vittime del programma di
sterilizzazione sotto la Legge per la Prevenzione della Prole
Geneticamente Malata.
Ne segue che il fascismo conduce
naturalmente alla tirannia della sanità pubblica, che a sua volta ha
bisogno di uno stato con ampi poteri. Questa è la logica dietro le
istituzioni politiche e la crescita dei poteri dello stato. Il
principale rischio dell'odierno movimento di sanità pubblica non sta
tanto nelle sue radici fasciste quanto nella sua capacità di
giustificare i - ed appellarsi a - tirannici poteri
governativi.
Forse, su un piano morale, esiste
una netta correlazione tra la moralità di un'azione e la bontà delle
intenzioni che ne sono alla base. Ma, al contrario di ciò che il
prof. Proctor sembra presupporre, non esiste una correlazione simile
tra le intenzioni dell'uomo e le sue conseguenze sociali. Gli
economisti Bernard de Mandeville e Adam Smith hanno riconosciuto che
anche intenti egoisti possono avere delle conseguenze altruiste
positive. Allo stesso modo, le buone intenzioni possono avere degli
effetti indesiderati. Come scrisse Friedrick Holderlin: "Ciò che ha
sempre trasformato lo stato in un inferno sulla terra è che l'uomo
ha cercato di fare di essa il suo paradiso." Non c'è da sorprendersi
che le buone intenzioni della sanità pubblica nazista producessero
terribili conseguenze, né che una cattiva ideologia come il fascismo
ottenesse qualche buon risultato in termini di sanità
pubblica.
Ma ci furono invero buoni
risultati? Possiamo veramente affermare che il nazismo abbia
prodotto delle buone misure per la sanità pubblica? Forse, ma solo
se ignoriamo il prezzo imposto agli individui. In termini di salute
pubblica, nessun risultato è assolutamente buono, ed indipendente
dai suoi costi. Anche se si accetta che il fumo contribuisca al
cancro polmonare, ciò non giustifica la proibizione a persone adulte
di fare ciò che vogliono della loro vita. Contro le 20.000 donne
tedesche che forse furono salvate dal cancro grazie alla politica
paternalista nazista, bisogna tenere conto non solo delle
aggressioni e delle morti causate dal potere politico necessario per
raggiungere tale risultato, ma anche del prezzo pagato da quelle
donne sul piano della loro libertà e dignità.
Dalla descrizione fornitaci dal
professor Proctor sulla vita dei tedeschi durante il nazismo,
emergono ulteriori risultati. Nonostante il tirannico potere dello
stato e malgrado la guerra, il potere in Germania non fu mai
completamente centralizzato. Controversie continuarono ad essere
dibattute (almeno all'interno della stirpe ariana), la ricerca sul
cancro andò avanti, e l'industria del tabacco lottò contro i
proibizionisti, mentre la vita mantenne un'apparenza di normalità.
Proprio come succede oggi.
Naturalmente, esiste una differenza
di grado tra la tirannia nazista e le silenziose tirannie
amministrative sotto le quali viviamo oggi. Ma forse i futuri
osservatori si chiederanno come, alla fine del ventesimo secolo, una
vita apparentemente normale potesse coesistere con l'incremento
degli attacchi alle nostre libertà.
Pierre Lemieux è professore di economia all'Università
del Quebec ad Hull,
Canada.
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